Sistema pittografico della tradizione manoscritta Dongba, una scrittura ipoarticolata

I pittogrammi della tradizione Dongba sono ocnsiderati in questo articolo come un segmento di un concetto più ampio, inerente all'espressione religiosa, artistica e culturale tramite la pittografia. Questo segmento è visto come un episodio storicamente legato alla elicte di potere dei signori locali (carica politica detta "Tusi") della famiglia Mu.

Una delle espressioni scritte di questo momento storico della pittografia del popolo Naxi di Lijiang consiste nella produzione di manoscritti su carta di papiro locale, i cui testi sono dedicati alla tradizione religiosa Dongba.

Questa tipologia di documenti è altamente settoriale e circoscritta, sia per quanto riguarda l'autore sia per quanto concerne il lettore, alla "nicchia sociale" dei sacerdoti Dongba, depositari tanto della scrittura, quanto della tradizione religiosa e del corpus di cerimoniali e delle liturgie necessarie alla vita quotidiana delle intere comunità Naxi.

In questo articolo, dunque, la scrittura pittografica è considerata "così come noi la conosciamo e studiamo oggi" solo dopo aver ben specificato la suca contestualizzazione alla tradizione manoscritta religsa dei Dongba quali sacerdoti ufficialmente riconosciuti dall'elicte di potere Mu nella Lijiang tardo-medioevale a partire dal XVII secolo circa.

Il punto di vista di questi appunti di studio è dunque quello di considerare la scrittura pittografica come un sistema di comunicazione ristretto alla sola nicchia sociale dei Dongba, e dunque l'autore reinterpreta ciò che è stato additato e considerato come elementi di primitività della scrittura pittografica e, applicando i concetti della fonologia, propone di considerare la scrittura Dongba come un sistema di comunicazione ipo-articolata.

Comunicazione audioverbale e comunicazione scritta

La comunicazione audioverbale e la comunicazione scritta avvengono entrambe attraverso la produzione e la percezione di blocchi di significanti di varia natura, grandezza ed aspetto. (Albano, Muratori, 1995: 16)

Questi blocchi sono, nella loro globalità, i veri portatori dell'informazione.

Studiare questi blocchi significa studiare i veicoli di trasmissione e di espressione dell'informazione, uno studio che consiste nell'individuarne e descriverne le caratteristiche, la struttura interna, gli elementi di cui essi sono costituiti, i contesti in cui appaiono, le modalità di emissione e trasmissione delle porzioni di comunicazione, le modalità di ricezione delle stesse.

Nella comunicazione audio-verbale queste porzioni di significanti possono essere considerate come blocchi fonici, ed essi possono corrispondere a frasi, a gruppi di parole, parole, singole lettere, il tutto modellato secondo una certa intonazione, con variazioni di velocità di eloquio, con presenza e diverso posizionamento degli accenti, a volte delimitati da pause.

I parlanti, che come noi e moltissime altre comunità appartengono usufruiscono di un sistema di scrittura che utilizza la tecnologia alfabetica, sono convinti che il parlato e lo scritto coincidano, ossia c'è la convinzione che il parlato e lo scritto debbano presentarsi all'incirca nella stessa maniera, come una successione di unità discrete, in cui i confini tra le diverse unità di significanti - foni o lettere - siano netti, così come lo sono quelli tra le singole lettere o le singole parole nella forma scritta, ed in cui ogni unità - fonica o scritta - sia sempre uguale a se stessa.

La ricerca fonetica mostra invece che ciascun blocco comunicativo parlato è un continuum in cui non solo è a volte molto difficile individuare i confini tra i singoli foni e le singole parole, ma in cui si osserva anche come la realizzazione dei foni sia sempre molto variabile e non sempre prevedibile, e come essi si influenzino reciprocamente.

Queste caratteristiche sembrano presentarsi anche durante l'analisi dei pittogrammi compositi e di fusione della tradizione manoscritta Dongba, tecnica con la quale porzioni di significanti costituiti da più unità grafiche elementari o già complesse, rispettivamente pittogrammi semplici o elementari e pittogrammi composti e/o di fusione, perdono i propri “confini” e vengono fusi ed amalgamati realizzando un unico nucleo grafico elaborato, in cui i limiti grafici dei singoli pittogrammi e l'ordine di composizione degli stessi sono persi, omessi, modificati.

Ad esempio nel caso del pittogramma complesso di fusione ²lv ³sa ¹za – [il] demone ²lv del suicidio discende, costituito da un'unità grafica centrale antropomorfa ³sa che rappresenta un pastore, o un uomo, sopra la sua testa il triplice pittogramma ³lv – rocce, ad indicarne il plurale (come nel geroglifico egiziano: Gardiner, 1969), la cui iconografia è però chiave simbolica ed allusiva al suicidio rituale commesso attraverso la posa di rocce nelle tasche delle vesti e l'abbandono del suicida nelle acque, contesto che dunque modifica il significato espresso indicando non più un essere umano, ma l'anima dannata di un suicida trasformatasi in demone ²lv. (Zamblera, 2008c)

Ancora, il particolare della gamba protesa ²khva - piede, rappresentato come dettaglio macroscopico, solitamente determinativo muto di azione di movimento (di nuovo come in Egiziano: Gardiner, 1969 ) è invece qui letto, pronunciato ¹za - discendere, così come alluso dalla linea obliqua del piano di camminamento lungo il quale lo spirito procede. (Zamblera, 2008c)

Secondo la tradizione religiosa Dongba, lo spirito ³lv è stato generato dall'azione di suicidio, una morte violenta avvenuta senza l'esecuzione dei rituali preposti al corretto adempimento del viaggio dell'anima di un defunto verso l'aldilà, per il ricongiungimento con le anime dei propri antenati. L'anima, indemoniata e rapita da altri spiriti del suicidio maggiori e minori, deve essere invocata tramite una cerimonia complessa, eseguita per il riscatto dell'anima del suicida dalla dannazione eterna. I demoni ³lv, infatti, sono considerati una delle ragioni sovrannaturali per lo scatenarsi di sciagure e maledizioni sulla famiglia del defunto e sulla comunità, dunque l'importanza di riscattarne la morte ed il corretto adempimento dei rituali preposti al ricongiungimento dell'anima del suicida con quelle dei propri avi risultava di un'importanza vitale per la vita di tutta la comunità Naxi. (Rock, 1939; 1952:I )

E' dunque evidente quanta importanza potesse assumere l'esecuzione di tali rituali, come è altrettanto evidente dell'importanza che dovette assumere all'interno della comunità la posizione del prete Dongba, lo specialista delle cerimonie della tradizione religiosa locale, detentore quindi della salvezza dalle sciagure e dalle maledizioni che avrebbero afflitto la comunità. (Mathieu, 2003)

Pittogrammi Dongba, sistema di comunicazione ipoarticolato

I suoni che produciamo nell'atto del parlare che i nostri interlocutori odono, così come i significanti tracciati nell'atto dello scrivere che i nostri lettori percepiscono, possono essere prodotti e recepiti in condizioni profondamente diverse. ( Albano, Muratori, 1995: 16)

Nella comunicazione audio-verbale ad esempio, un professionista della voce (attore, annunciatore) viene registrato mentre pronuncia, isolato in una cabina di registrazione suoni, sillabe, parole e frasi che egli legge o che gli viene chiesto di pronunciare, una condizione artificiale che consiste nella riproduzione dell'atto comunicativo, operazione in cui il destinatario non è un interlocutore bensì un fonetista, una modalità dell'atto del parlare che viene chiama parlato iperarticolato di laboratorio.

Il suo opposto è detto il parlato ipoarticolato informale spontaneo, come nel caso in cui un soggetto si rivolge ad un amico in modo concitato e gli parla in fretta, mangiandosi parole o accennandole appena, un caso in cui la conversazione avviene in ambiente naturale, eventualmente disturbato da altre voci o rumori, una condizione nella quale si svolge la maggioranza degli atti comunicativi. (Albano, Muratori, 1995: 17)

La qualità articolatoria, fisica e percettiva dei suoni prodotti, dunque dei significanti trasmessi, nelle varie situazioni è molto diversa e dunque con iperaticolato s'intende quell'atto comunicativo più accurato e scandito, mentre quello informale, apparentemente più trascurato e lacunoso, viene detto ipoarticolato: l'atto comunicativo iperarticolato richiede a colui che comunica i vari blocchi di significanti (colui che parla, colui che scrive) molto lavoro, molta attenzione e molto controllo, ma è di facile interpretazione per chi lo recepisce (ascolta, legge); la comunicazione tramite un messaggio ipoarticolato richiede invece l'emissione di un segnale meno complesso da parte dell'emittente (colui che parla, chi scrive), e pone più problemi e più lavoro interpretativo a chi lo riceve (Albano, Muratori, 1995) - colui che ascolta, chi legge.

Uno degli aspetti più interessanti ed accattivanti nello studio di questi meccanismi della comunicazione sembra essere nel fatto che ogni parlante o scrittore scelga più o meno consapevolmente e spontaneamente il livello di articolazione del messaggio che reputa necessario ed adeguato alla situazione in cui si trova a comunicare, per cui ogni soggetto che parla sceglie il livello di complessità e di articolazione del parlato in funzione del proprio ascoltatore, ed ogni scrittore sceglie termini e stile a seconda del lettore a cui l'atto dello scrivere è destinato. (Albano, Muratori, 1995: 18)

In entrambe i casi il soggetto consapevole emittente i blocchi di significanti, sceglie il livello di articolazione facilitando e/o ostacolando, precludendo e/o consentendo l'accesso ai significati trasportati nel messaggio stesso: se la sorgente dell'atto comunicativo - il parlante e/o lo scrittore - ritiene che colui che dovrà recepire la propria comunicazione, il veicolo dell'informazione - ascoltatori e/o lettori - abbia o debba avere già conoscenze su quello che gli vuole comunicare, dunque sceglierà una forma naturalmente tendente all'ipoarticolazione, basando l'efficacia dell'atto comunicativo sul fatto che il “giusto” ricettore nell'interpretare un messaggio povero di significanti, farà ricorso alla sua conoscenza ed al contesto per poter eseguire la decodifica e l'integrazione del messaggio comunicato, raggiungendone così la corretta interpretazione e comprensione.

Se viceversa il soggetto emittente non ritiene di poter contare su queste doti del soggetto ricettore oppure desidera che il messaggio comunicato possa essere compreso anche senza un bagaglio a priori che consenta o faciliti la comprensione dei significati comunicati, allora cercherà di produrre un messaggio più ricco di informazioni e di significanti, per consentire e facilitare la ricezione e la comprensione del comunicato.

Il contesto della tradizione manoscritta Dongba in cui avviene l'atto della comunicazione è un contesto settoriale e di nicchia, (Mathieu, 2003) una ristretta comunità di preti specialisti dell'esecuzione dei complessi cerimoniali religiosi necessari al mantenimento dell'equilibrio nella quotidianità della vita della comunità locale. (McKhann, 1992; 2003; Zamblera 2009)

I preti Dongba, dunque, costituiscono una classe elitaria all'interno del contesto religioso, e detengono la leadership cultuale della comunità, (Rock, 1952; Mathieu, 2003) mantenendo e sottolineando il proprio primato anche sulle altre figure dedite alle attività oracolari, divinatorie e sciamaniche della religione, (McKhann, 1992; Mathieu, 2003) precludendo queste ultime ed il popolo comune dall'esecuzione e dalla conoscenza del corpus cerimoniale e rituale, tramandato e registrato tramite una voluminosa serie di manoscritti realizzati con un sistema di scrittura pittografico ed un sistema di scrittura sillabico-fonetico detto Geba, di cui solo i preti Dongba sono i detentori.

In un simile contesto è possibile ipotizzare che il prete Dongba, spesso destinatario dello stesso manoscritto di cui è autore, nel proprio atto dello scrivere tracci blocchi di significanti destinati o a se stesso oppure ad altri preti Dongba, (Mathieu, 2003) e desideri precludere i non-Dongba dalla comprensione del messaggio emesso e dei suoi significati, per la salvaguardia della sua posizione elitaria all'interno della comunità. (Zamblera, 2009)

L'atto della scrittura pittografica, che si manifesta e si realizza nella produzione dei manoscritti dedicati ai rituali ed alle cerimonie religiose, avviene dunque in un contesto comunicativo in cui colui che emette il messaggio ritiene che il proprio interlocutore – se stesso, altri preti Dongba - abbia e debba avere già il massimo livello e numero d'informazioni possibili su quanto l'atto comunicativo verte, dunque sembra plausibile inquadrare la forma scritta pittografica, caratterizzata dalla povertà e lacunosità dei significanti, come un atto di comunicazione ipoarticolato. (Albano, Muratori, 1995)

Questa è un'ipoarticolazione del comunicare che i Dongba naturalmente e consapevolmente tendono e realizzano durante l'atto espressivo scritto, (Rock, 1972) espediente tecnico e stilistico (Rock, 1939) dettato dalla volontà di mantenere e preservare la leadership cerimoniale della regione, (McKhann, 1992; Mathieu, 2003; Zamblera 2009) espediente che mira alla riservatezza e ristrettezza dell'ambiente in cui il messaggio emesso doveva rimanere e significare.

Esaminando il manoscritto ²lv ²bar ²lv ¹za ³sa ³ma ³čung, la cui traduzione può essere resa con “il secondo volume (³ma ³čung) [della cerimonia per] invitare (³sa) gli spiriti delle anime dei suicidi (²lv ²bar) a discendere (²lv ¹za)” (Rock, 1932; Zamblera, 2008) appartenente al corpus dei volumi dedicati alla celebrazione della cerimonia maggiore ²har ²la ¹lun ³kho - "eseguire [la cerimonia per il] vagare del vento" il primo pittogramma che incontriamo è ¹la [ la ] – tigre, un pittogramma semplice o elementare, polisemantico, (Zamblera, 2008) i cui principali significati (FANG Guoyu et HE Zhiwu, 1995; HE Pinzheng 和品正, XUAN Qin 宣勤, 2004; Rock, 1963, 1972; ) possono essere riassunti:

Nel ms. questo pittogramma è utilizzato come chiave o abbreviazione per la formula: ¹a ¹la ²mua ³šar ²be ²thu ¹dzhi traducibile con “quando ancora niente era stato separato” una frase fatta della tradizione religiosa Dongba che indica un'antichità remota, prima della separazione del cielo e della terra e dei principi complementari opposti che coindice con la creazione dell'universo, una formula introduttiva rituale ricorrente nella maggior parte dei testi della tradizione manoscritta pittografica. (Rock, 1932; Zamblera, 2008)

¹la, vista la possibilità di significare anzianità, vecchio, è considerabile non solo come un'abbreviazione o chiave fonetica della formula intera, ma una chiave ed un'abbreviazione semantica che permette al prete Dongba la ricostruzione, la comprensione e la lettura del messaggio completo.

Questo esempio a chiarire quanto questo sistema di scrittura basi la propria efficacia comunicativa sulla capacità e sulla conoscenza del lettore.

La costruzione delle parti del messaggio trasmesso avviene in un sistema di comunicazione ipoarticolata, garante del fatto che l'atto della comunicazione avvenisse con successo solo e soltanto tra chi fosse iniziato alla tradizione religiosa ed alla letteratura rituale Dongba, precludendo ogni altro fortuito lettore alla comprensione ed alla possibilità di accesso alla conoscenza del patrimonio cerimoniale e rituale.

Sempre da questo esempio sembra possibile ipotizzare che l'atto della lettura di un testo della tradizione manoscritta pittografica Dongba non può dunque essere fatto coincidere con un'azione simile alla lettura in successione di significanti. (Mathieu, 2003; Zamblera, 2008)

Anche se quest'ultima è possibile a chiunque eventualmente abbia conoscenza del valore fonetico e semantico dei singoli pittogrammi, i blocchi di significanti scritti sono una porzione del messaggio, un segnale di comunicazione intermittente, le cui parti di significanti risultano ponderanti e sufficienti alla ricostruzione dell'intera comunicazione solo da chi ha avuto pieno accesso alla tradizione religiosa ed allo studio della letteratura manoscritta.

Bibliografia