Colazione – 早饭 Zaofan

Colazione – 早饭 Zaofan
matita colorata su cartoncino nero,
cm. 65 x 50

Colazione - 早饭 Zaofan
Colazione - 早饭 Zaofan

ma quella mattina dei primi di Ottobre del 2005, appena tornato dai mesi di Pechino, con la crisi di astinenza da Baozi appena cotti sui panieri impilati, con il profumo di pane dolce, caldo del vapore succulento. Tutto questo mi fece deviare dalla mia destinazione: San Donnino, il lavoro che m’inchiodava sottopagato ed al nero in uno spazio improbabilmente reale, e Via Pistoiese ruotava spinegendo le altre macchine e la poca gente alla fermata del 35 fin dietro la mia schiena, mentre iniziava ad avvicinarsi Via della Saggina, il cui centro per me era il Beijing Kuai Canting – rosticceria veloce Pechino, un piccolo ristorante cinese per cinesi ai confini tra i due quartieri con gli occhi a mandorla di Firenze, Brozzi e Peretola.

Lisa, in ritardo perchè aveva dormito troppo come al solito, mi sorride perché poteva sembrare che ci fossimo dati un imbarazzante appuntamento sulla porta del piccolo locale dei suoi, mentre dentro è la solita piena caciara: volti del quartiere di Nanli Shilu e di Tiantan di Pechino, indaffarati ad incartare i Luotiao fritti, a divorare Baozi fumanti, a sorseggiare zuppe calde con generose aspirate di spaghetti misti all’aria, per rendere tutto meno rovente.

Sul tavolo di Marco, il babbo di Lisa, una rivista: ExChange. In copertina un ritratto ad olio, un uomo ed una donna a cavallo, sotto dei cani, un sigillo rosso a sinistra, con Manet in 5° pagina, Modigliani in 7°, e poi quadri ad olio cinesi: è d’arte. E di nuovo Monet e Renoir accanto, con sotto un acquerello ed un olio cinese, delicati e pastellati come i capelli, il sorriso e gli occhi della bimba bionda di Renoir, e solo il veleggiare di Lisa dietro il banco e fra i tavoli mi abbaglia lo sguardo, con le pagine che si abbassano e mi riappaiono già voltate davanti. Anche lei si eclissa però quando vengo investito da un quadro allucinante, una scena scura, polverosa e sporca di calcina, un paesaggio umano di una dozzina di volti d’operai.
Illuminati.
Da una luce calda, che mi fa sentire voci, vedere colori, respirare odori.
Tutto in un istante, e sono nel mezzo della colazione di quel cantiere edile, proprio come quello di Pechino, di fronte alla fermata del 15 che alle 5 e mezzo spaccate di tutte le mattine si presentava in fondo alla curva nebbiosa per portarmi a Tiantan Gongyuan.

Un soffio.

I mesi in Cina.
Gli anni di vita passati da quell’Ottobre a questo Marzo appena iniziato.
Da quella mattina ad oggi ho iniziato a desiderare, immaginare, pensare e costruire. Questo lavoro a matita, ed altri che hanno già preso forma o che non si sono ancora realizzati, sedimentati.
Ho tentato.
Quel qualcosa che era scaturito fin da quella mattina, ed ha iniziato a muovermi nel profondo, come dal profondo di quel di dipinto che scoprirò chiamarsi genialmente 工棚gōng péng – baracca da lavoro, scaturivano qui volti e quegli occhi, ritratti di ritratti.
L’autore avrà poi un nome: 徐唯辛 Xu Weixin, ma già da quella mattina, senza che di lui sapessi niente, e lui di me, iniziammo a dialogare e cominciammo il nostro exchange, proprio come si scambiavano sguardi i volti dei due quadri della pagina accanto, quello a toni di seppia del vecchio dipinto seduto sul minuscolo panchetto nella minuscola casa-stanza, e quello d’infinita stanchezza, allucinato e completamente ricoperto di carbone del minatore.
Uomini. Come me, come l’artista Weixin, anche lui un giorno nato, ad 乌鲁木齐 Urumuqi. Anche lui laureato due volte, all’Accademia di Belle Arti di Xi’an ed all’Accademia dell’Arte dello Zhejiang. Lui, adesso, docente presso la Scuola di Arte Xu Beihong dell’Università Renmin, uno dei pittori cinesi contemporanei più grandi, sicuramente il più importante dei realisti: i sui quadri mi hanno toccato.
Mi sono rimasti nel cuore e nella mente.
In quelle scene, in quei paesaggi di uomini: osservo e provo lo stesso dramma, la stessa commozione, la stessa fierezza che vedevo, seduto sul marciapiede ad aspettare il 15, negli occhi lontanissimi di quegli uomini a 20 metri da me, sguardi du cui ho visto pullulare la Pechino e la Shanghai accanto a dove ho abitato. Come negli occhi della bambina di Songzalin di Limonta, diventati sulle orme di Ilario Fiore il mio Mal di Cina, vedo in quegli sguardi la stessa luce fiera e quel senso di smarrimento e paura che mi chiede: ma che cosa sarà del mio destino?
Questo è la mia dannazione, questo è il mio tesoro.
Voglio parlarne, voglio dipingerne.
I volti di questa matita, allora, non tanto come ritratti dei più anonimi dei più operai, ma esseri pieni d’umanità, individui. Fratelli della bambina di Songzalin, tutti figli di una Natività, come lo sono quelli dipinti da Weixin nelle serie ” I ritratti del vuoto” ed in “Cronache di minatori cinesi”, in cui l’artista parla di un solo tema: l’uomo.
Scelgo di gettare luce radiante su coloro che sono al buio, invisibili, indistinti e trascurati. Mi con-centro tra coloro che sono i dispersi, anche dal “si-vive” della massa anonima e della collettività.
I ritratti di Weixin ai miei occhi sono monumenti: ai loro piedi non solo mi sento ispirato, ma sono letteralmente proiettato da spettatore a protagonista, gettato ad arrampicarmi con le mani per toccare il marmo e le venature, dei volti e delle mani, la Cina quotidiana che conosco, la metafora di un mondo in cui oso vivere e di cui oso parlare.
Concentro il mio sguardo e le mie matite su questi eventi, sul confronto e sulla riflessione di questi momenti storici della mia contemporaneità e del mio vivere.
Pretendo. Di dipingere ciò che provo, di esprimere quello che m’imprime, di rappresentare cosa vedo e come lo vedo: miope.
Non posso vedere confini precisi e linee nette, tanto meno cerco di copiare, ma tento di rendere omaggio ad un’opera ed a realtà già raggiunte.
Sono, in punta di matita, uno di loro, al risveglio, dopo il sonno pesante di più di un miliardoeduecentomilioni di mattoni.
Sono affamato, sono assetato, mi nutro e bevo anche di Weixin.
Mastico per riuscire ad ingerire, rumino per metabolizzare e per rivivere.
Allora mi sento, allora mi scopro: vivere, ed essere! Non solo esistere.
Sulla carta scura, tra uomini che mi sono vicini, tra colori di stanchezza e di polvere.
Pretendo. Di tentare.
Di divenire tassello di un mosaico.
Parte ed elemento di insiemi di cui sono intersezione.
Ritraggo la vita che vivo e che conosco.
Qualcosa di diverso dal chiasso di certe rivoluzioni di belle facce colorate ed entusiastiche.

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